Perth Forecast

mercoledì 30 maggio 2012

RIFLESSIONI SULL'ITALIA E SULL'AUSTRALIA

Oggi ho finito di lavorare prima e, per andare a Bull Creek Station ad aspettare la Giò, ho deciso di farmela a piedi.
Google Map stimava 7 km, ma sono sicuro che saranno stati di più. 
Le distanze in Australia sono ingannevoli.
Tuttavia ho deciso di camminare anzichè andare in autobus. 
Qui mi capita spesso.
Sarà la stagione, ma durante il tragitto ho attraversato tutte le zone climatiche esistenti sulla Terra.
Prima c'è stato un sole cocente, poi ha iniziato a piovere all'improvviso, poi di nuovo un sole tiepido seguito da un vento forte e gelido ed infine nuvolo.
Anche questo, credo, sia l'Australia.
Un continente duro, improvviso e pieno di sorprese.
In attesa della Giò, mi sono seduto su una banchina fuori dalla stazione e mi sono messo ad osservare le persone che scendevano dagli autobus per andare alle loro destinazioni finali.
Ce ne erano per tutti i gusti: impiegati con le scarpe da ginnastica, operai usciti da Alcatraz, studenti chiusi nelle loro divise (evito di commentare come sono "vestite" le studentesse) e cosi via.
Ho preso carta e penna ed ho iniziato a scrivere.
Ho iniziato a riflettere sull'Italia.
Il motivo di tutto ciò, penso, proviene da una risposta che ho dato in mattinata al titolare dove lavoro.
"Sei un ottimo lavoratore" mi disse all'improvviso. 
"Grazie!" rispondo senza esitazioni "è perchè vengo dall'Italia!".
A Perth tutti adorano l'Italia, soprattutto gli italo-australiani o gli emigrati di tanto tempo fa.
Nulla da dire.
Noi Italiani siamo un popolo di grandi lavoratori.
Tuttavia, a volte, lo dimentichiamo o, altre, non meritiamo di essere definiti tali.
Il motivo è semplice: ho avuto modo di parlare con alcuni Italiani e, salvo pochissime eccezioni, mi hanno sempre ripetuto la solita storia. Lamentele, lamentele e lamentele per qualsiasi motivo.
Credo che l'Italia abbia il lamento del proprio Dna.
Il più delle volte ci si  scaglia contro il lavoro (devo ammettere che ero uno di questi).
La cosa che mi lascia perplesso è che a Perth, nonostante si abbia un lavoro decente (o sia ha la possibilità di sceglierlo che è già un traguardo) ci si lamenta!
Ho sentito e letto di persone che lasciano il posto fisso e vengono a cercare fortuna in Oz.
Ho sentito e letto di persone che assicurano che in Oz regalano sponsor e visti.
Mi dispiace.
L'Australia non è il paese dei balocchi.
Non è l'Eldorado.
Nessuno regala nulla per nulla.
LIKE IT or LEAVE IT dicono gli Australiani.
L'Australia è un paese duro e per gran parte è un paese inospitale (aprite la cartina e guardate quante città ci sono nell'entroterra).
Per stare qua bisogna sbattersi e anche tanto.
Bisogna accettare tutto.
Bisogna sapere l'inglese!
Bisogna cambiare la propria mentalità quando si arriva in Australia.
In Oz ci sono tante razze, tante culture e, soprattutto, tanti modi di vivere.
Bisogna adattarsi!
Purtroppo per noi Italiani sembra difficile perchè siamo abituati troppo bene. Fin troppo!
Tempo fa ho letto un articolo molto interessante sul blog "Italians" di Severgnigni sul Corriere della Sera.
L'autore proponeva una riflessione sui cervelli in fuga invitando a capire che, tra questi, ci sono anche quelli in fuga dal proprio cervello!
Credetemi, dopo 3 mesi, ne ho visti e sentiti abbastanza.
"Tot capite, tot sententiae" dicevano i Latini.
Per cambiare le persone, bisogna prima cambiare le loro menti.
Possono esserci 100 persone, ma se il pensiero è unico, il risultato non cambia.
In Italia sembra che tutti abbiano un unico cervello, soprattutto su Facebook.
L'esempio più lampante è la famosa "tassa sugli animali".
Tutti ad indignarsi per ciò che si è rivelata un'enorme bufala.
Anzichè rimanere su Facebook ,bastava andare su Google e cercare "redditometro" o "studi di settore" per capire un po' di più.
Prima di partire mio padre mi ha sempre chiesto "Tu cosa fai per migliorare l'Italia?"
"Chiedo lo scontrino" ho sempre risposto.
Preferisco agire muovendo i muscoli della bocca piuttosto che sforzare le dita della mano e postare link contro il sistema.
In Oz, da quanto ho capito, pagare le tasse è quasi una normalità (anche qua, ovviamente, ci sono alcuni furbetti).
Alla base c'è l'onestà e la fiducia.
In Italia ci si alza la mattina e si pensa a chi ti fregherà o chi devi fregare in modo che non sia lui a farlo a te a sua volta.
Si spende tanto, si guadagna tanto e si pagano le tasse.
Credo che sia un circolo che parte tutto dall'ultimo tassello qui sopra.
Perchè in Italia non ci si riesce?
Questione di mentalità mi dicono.
Credo, però, che sia necessario iniziare pian piano, ma devono volerlo tutti.
Si deve creare una coscienza nazionale!
Come hanno fatto i primi europei in Australia: hanno iniziato pian piano a trasformare il deserto (l'ignoranza) in terreno fertile (l'onestà) su cui costruire le città lottando contro tutte le ostilità.
Ad oggi sono riuscito a disintossicarmi dell'Italia: dove prima vedevo superficialità ed idiozia ora vedo onestà e fiducia (in molti supermercati non ci sono i sensori antitaccheggio all'uscita). 
Posso dire che in Oz si respira aria di "possibilità".
E' molto dura, ma la percepisco.
Questi 3 mesi mi sono serviti per disintossicarmi dalla mentalità italiana.
In Italia, ormai, si respira aria di negatività e di astio verso tutti e tutto.
Invito tutti, in questo istante, a prendere un giornale o aprire un sito di notizie.
Fatto? Bene.
Ora guardate cosa dicono e riflettete.
A parte la catastrofe in Emilia, c'è qualcosa di positivo?
C'è qualcosa per cui essere allegri? Non credo.
In Oz, credetemi, è quasi il contrario.
Sfogli un giornale o accendi la Tv, ma non senti una parola sulla crisi.
A volte sembra di vivere in un "Grande Fratello" alla Orwell dove tutte le informazioni sono filtrate in modo da evitare che la felicità/positività della gente venga toccata.
Mi scuso per questa dura regressione, ma sentivo il dovere di farla.
E' arrivata la Giò e dobbiamo prendere il treno per Perth.
Con calma.
Senza correre.
Qua non c'è fretta.
Se hai il tempo, puoi fare tante cose.
Se non ce l'hai, lo si può sempre organizzare!

mercoledì 2 maggio 2012

IL POPOLO INVISIBILE


Camminando per le strade o nei parchi di Perth è difficile non notarli.
Le loro voci, a volte quasi degli schiamazzi, sono inconfondibili.
Non sto parlando dei backpackers e nemmeno dei tipici stereotipi dei ragazzi/e australiani alti, biondi e sempre con la tavola da surf sotto braccio.
Sto parlando del popolo invisibile dell'Australia e forse di tutto il mondo: gli Aborigeni.
Un po' di tempo fa, durante una mattinata assolata, io e la Giò siamo andati a visitare il Western Australian Museum dove, tra le varie mostre gratuite, ci siamo imbattutti, quasi per caso, in una mostra intitolata "KATTA DJINOONG" che in lingua aborigena significa "See and understand us".
Seppure, spero non volutamente, nascosta all'ultimo piano, la mostra si è rivelata interessantissima.
Con un insieme di fotografie, oggetti e artefatti aborigeni, racconta il popolo aborigeno e il loro legame con la famiglia, la terra e la continuità tra tradizione e vita contemporanea.
Soprattutto considera l'impatto che la cultura europea ha avuto su questa cultura includendo, purtroppo, i massacri, la schiavitù, i processi e la cosiddetta "Stolen Generations".
La mostra scorre lineare e si chiude con il processo di "riconciliazione" culminante con il discorso dell'ex primo ministro Kevin Rudd il 13 febbraio 2008 definito il "Sorry speech", ovvero le scuse ufficiali del popolo australiano verso gli aborigeni.


Ma perchè è considerato il popolo invisibile? 
Alzi la mano di chi ha letto, approfondito o sentito parlare del ruolo degli aborigeni?
Bene. 
Per farvi comprendere meglio la "storia" di questo popolo riporto alcuni pezzi tratti dall'interessantissimo libro di Bill Bryson "In un paese bruciato dal sole: l'Australia".
Lo storico della natura e scienziato australiano Tim Flannery definì gli aborigeni "uno degli azzardi naturali".
Nel secondo dopoguerra, nelle scuole del Queensland, insegnavano che si trattava di "creature ferali della giungla" e, addirittura, fino al 1967 gli aborigeni non erano inclusi nei censimenti nazionali.
Semplicemente, non esistevano in quanto non erano persone.
Ma lo "scempio" è iniziato ben molto prima, ovvero da quando gli Europei iniziarono a popolare le coste dell'Australia.
Lo scrittore William J. Lines nel libro "Taming the Great South Land" descrisse alcuni esempi particolari delle varie atrocità: aborigeni macellati come cibo per cani, impalati o addirittura fatti assistere alle esecuzioni dei parenti prima di essere uccisi a loro volta.
Sembra di "rivedere" i massacri commessi in Uganda e Ruanda qualche anno fa.
Eppure sono stati commessi quasi 200 anni fa e per un periodo che si è protratto molto a lungo.
I responsabili del genocidio tra Hutu e Tutsi ora sono perseguitati, mentre allora non era considerato nemmeno un crimine: infatti nel 1805 il giudice-avvocato del Nuovo Galles del Sud dichiarò che gli aborigeni non avevano sia la disciplina sia la capacità mentale per presenziare ai dibattimenti in aula.
Addirittura intorno al 1820, Lachlan Macquaire, governatore del Nuovo Galles del Sud, autorizzò le truppe della regione di Hawkesbury a "sparare su qualunque raggruppamento di aborigeni superiore a sei, anche se disarmati e senza cattive intenzioni, anche se nel conteggio erano inclusi donne e bambini".
Infine,nel 1838, alcuni uomini partirono dalla fattoria di Henry Dangar per cercare chi avesse rubato o fatto scappare alcuni capi di bestiame.
A Myall Creek trovarono un accampamento di aborigeni che erano noti per essere pacifici e inoffensivi.Furono legati in modo da comporre una sorta di palla, portati in giro per la campagna e infine fucilati. 
Interrogati, i responsabili dichiararono che non sapessero che uccidere aborigeni fosse illegale.Questi e altri omicidi furono commessi verso questa popolazione talvolta anche clandestinamente in modo da  non incorrere in processi farsa. Eppure si trova pochissimo di tutto ciò nei libri di storia e tantomeno gli australiani ignorano questi fatti.

Camminando per le strade o nei parchi di Perth è difficile non notarli.
Sono gli "emarginati" in quanto vivono ai margini della società, a volte anche volutamente in segno di protesta.
Spesso sono ubriachi, ma non molestano nessuno.
I "bianchi" australiani sembrano ignorarli, quasi schifarli. Eppure loro sono lì, esistono.
Sono loro i padri dell'Australia.
Anche questo sembra essere citato in pochi testi.
All'inizio del 20° secolo gli storici erano concordi nel ritenere che gli aborigeni avessero iniziato a colonizzare l'Australia da circa 400 anni.
Verso il 1960, la lancetta del tempo si è spostata  indietro di 8.000 anni.
Nel 1969, il geologo John Fowler scoprì i resti di una donna nel lago Mungo, nel Nuovo Galles del Sud.
La datazione al radiocarbonio stabilì che la donna fosse morta 23.000 anni fa.
Le scoperte si sono succedute nel tempo e ad oggi, si crede che i nativi arrivarono sull'isola intorno ai 40.000-60.000 anni fa.
Il problema che sorge spontaneo è il seguente: dato per assodato che l'Australia è sempre stata un'isola, come hanno fatto ad arrivare sul continente?
Non si può pensare che siano nati autonomamente in quanto non ci sono creature simili alle scimmie da cui fossero potuti discendere.
Un'ipotesi, forse l'unica plausibile, è che i primi nativi debbano essere arrivati via mare: dall'isola di Timor o dalla Papua Nuova Guinea.
Considerato questo, bisogna credere che circa 50.000 anni fa dovesse esistere un popolo sufficientemente avanzato da poter utilizzare delle imbarcazioni, simili a zattere, per attraversare il lungo tratto di oceano affrontando anche i periodici monsoni e cicloni per approdare su una terra di cui non conoscevano l'esistenza.
Fin qui, seppure incredibile, tutto bene.
La questione si infittisce nel momento in cui ci si chiede come siano arrivati anche gli animali da riproduzione.
Le ipotesi potrebbero essere due:
- un pescatore deve essere arrivato sulle coste dell'Australia settentrionale e deve aver avuto, per forza di cose, delle capacità nautiche sufficienti per memorizzare la rotta, ritornare indietro, riferire quanto visto e ripercorrere di nuovo il tratto di mare;
- un'intera comunità, su più imbarcazioni tali da poter trasportare animali e esseri umani, deve aver affrontato il tratto di mare per arrivare in Australia.
In entrambe le ipotesi, si deve essere concordi sul possedimento di capacità di gran lunga superiori ai parenti  europei o africani di 50.000 anni fa.
Il professore accademico americano Joseph Birsdell teorizzò che è sufficiente un gruppo di 25 coloni per poter produrre, nell'arco di 2.000 anni, una popolazione di 300.000 persone.
Come riporta il già nominato Bill Bryson, c'è "comunque bisogno di portare lì queste persone".
L'impresa, comunque sia andato il corso della storia, è molto affascinante e straordinario.
Soprattutto se si considera che i primi esploratori trovarono lungo le coste dell'Australia, enormi piramidi  di conchiglie, alte fino a a 10 metri e con una base di circa 2.000 metri quadrati.
Uno sforzo enorme e misterioso per questi "azzardi naturali".
E' giusto e doveroso, a questo punto, riconoscere che la cultura aborigena è la più antica e conservata in maniera continuativa in quanto dovevano possedere delle capacità tecnologiche e organizzative tali da poter sopravvivere e adattarsi in un'isola caratterizzata da ambienti inospitali e pericolosi.
Quanta attenzione hanno ricevuto queste imprese e questo popolo? Virtualmente nessuna.
Un popolo, invisibile.